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La Valle d'Aosta e l'Europa

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Un piano di rilancio per l’economia europea e per le regioni alpine

Intervista a Andrea Mairate, Senior Adviser presso la DG ECFIN della Commissione europea

Fotografia di Andrea Mairate
Fotografia di Andrea Mairate

Andrea Mairate, Consigliere senior presso la Direzione Generale per gli Affari Economici e Finanziari della Commissione europea, ha studiato economia a Grenoble, Torino e Parigi, città in cui ha conseguito un dottorato di ricerca in Economia dello sviluppo. Già dirigente a Bruxelles presso la DG Regio (Direzione generale Politica regionale e urbana), ha ricoperto per molti anni incarichi centrali come esperto di politiche regionali, fra cui quello di Capo dell’Unità Strategie Macroregionali e Cooperazione Territoriale Europea, con un ruolo diretto proprio nella creazione della Macroregione alpina di cui fa parte la Valle d’Aosta. Nel corso della sua attività professionale, ha infine annoverato diversi incarichi accademici come professore presso l'Università di Padova, l'Università Bocconi, l'Istituto di Studi Europei della Libera Università di Bruxelles, oltre ad essere membro dell'Advisory Board del Dipartimento di Economia dell'Università degli Studi di Venezia "Ca Foscari".

  • Dottor Mairate, da ormai quasi due anni, il mondo intero si trova confrontato con una crisi sanitaria, sociale ed economica, scaturita dal dilagare della pandemia di COVID-19. L’Unione europea ha dovuto intraprendere azioni coraggiose per organizzare in maniera unitaria una reazione che provvedesse in primo luogo a garantire ai propri cittadini il miglior approvvigionamento possibile agli strumenti necessari al contenimento del contagio (dalle mascherine ai vaccini), quindi a sostenere finanziariamente, per quanto possibile, i danni economici subiti da ciascuno dei suoi Stati membri. Lei ritiene che questo contesto di solidarietà abbia rilanciato un rinnovato spirito europeo, il cui vigore si rifletterà anche al di là dell’emergenza, oppure pensa che i sovranismi nazionali, tuttora diffusi nel continente, possano ancora compromettere una gestione sempre più comunitaria delle sfide che arriveranno?

Di fronte alla crisi sanitaria e le sue conseguenze sul sistema economico e sociale, la risposta politica dell’Unione europea è stata rapida e significativa. La BCE ha agito in modo tempestivo attivando il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme).  Gli Stati membri hanno varato delle cospicue misure di sostegno fiscale alle proprie rispettive economie pari al 3,2% del Pil europeo nel 2020, e gli aiuti forniti in termini di liquidità alle aziende e alle famiglie hanno raggiunto un livello storico pari al 22% del Pil europeo. A livello nazionale, oltre al sostegno urgente ai rispettivi sistemi sanitari, i vari governi hanno attivato delle disposizioni di lavoro che hanno consentito di sostenere i redditi dei lavoratori e alleggerito i costi per le imprese. A livello dell’UE, molti paesi hanno beneficiato dei prestiti messi a disposizione dallo strumento europeo SURE [strumento straordinario di supporto ai disoccupati, ndr] nonché di altri schemi tra i quali il fondo di garanzia pan-europeo della Banca Europea degli Investimenti. Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) ha inoltre messo a disposizione dei fondi quasi senza condizioni per sostenere le misure di emergenza sanitarie. Infine, il patto di Stabilità e di Crescita è stato sospeso fino al 2022.

Nonostante queste misure fossero urgenti e necessarie, occorreva una risposta strutturale a livello dell’Unione Europea. La Commissione europea, insieme al Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, ha messo a punto il piano per la ripresa e la resilienza denominato “Next generation EU”, al fine di sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia di Covid-19. I fondi legati a NGEU verranno erogati attraverso 390 miliardi di euro di sovvenzioni e 360 miliardi di euro di prestiti a lunga durata per gli anni 2021-23 e saranno vincolati al quadro finanziario pluriennale 2021-27 dell’Unione Europea. Complessivamente, i pacchetti di aiuti raggiungeranno un volume di 1.824,3 miliardi di euro cioè il 13% del Pil europeo a prezzi 2019. L’aspetto più importante di tale piano è che NGEU verrà finanziato grazie all’innalzamento temporaneo del tetto di spesa massimo del bilancio europeo fino al 2% del reddito nazionale lordo dell’Unione europea. In questo modo la Commissione potrà utilizzare il suo rating creditizio per acquistare 750 miliardi sui mercati finanziari. Questi finanziamenti aggiuntivi dovranno essere rimborsati su un lungo arco temporale attraverso i futuri bilanci europei tra il 2028 e il 2058.

In sostanza, il piano NGEU è stato un momento di azione collettiva che va oltre un piano di investimenti e di riforme strutturali. Esso rappresenta pertanto un’opportunità storica per l’Europa per rafforzarsi e riemergere più forte dalla pandemia, trasformare le nostre economie e società e ridisegnare un’Europa solidale al servizio dei suoi territori e cittadini.

  • Le tempistiche e le modalità di intervento dei PNRR si collocano a metà fra le caratteristiche proprie dei finanziamenti diretti e il coinvolgimento dei livelli di gestione nazionali e regionali tipico dei fondi strutturali. Come sarà possibile, secondo la Commissione europea, fare in modo che a fronte di tali procedure si possano massimizzare le ricadute degli investimenti operati, evitando che la complessità derivante dai livelli amministrativi presenti non permetta il rispetto delle scadenze previste?

Per ricevere sostegno dal Dispositivo di Ripresa e Resilienza (indicato in inglese Recovery and Resilience Facility), gli Stati membri devono preparare dei piani e dei progetti nazionali, che comprendano obiettivi e costi stimati degli investimenti previsti nonché dei piani di riforme strutturali. L’approvazione dei piani consente agli Stati membri di stipulare degli accordi finanziari che danno luogo all’erogazione del prefinanziamento del 13% dei fondi assegnati a ciascun paese. Ad esempio, l’Italia ha ricevuto 25 miliardi di euro. Ogni Stato membro che intende utilizzare questi investimenti deve destinare almeno il 37% della spesa all'economia verde e il 20% agli investimenti digitali.

Un aspetto importante di tale dispositivo è che il RRF è basato sul raggiungimento degli obiettivi intermedi e finali, stabiliti nei piani nazionali, necessari a erogare le varie tranche di finanziamento.  

Il successo dei vari piani nazionali di ripresa e di resilienza, e in primis di quello italiano, dipenderanno dalla loro effettiva attuazione secondo i modi e tempi prestabiliti. Ciò richiede, specialmente nel caso italiano, un’attenzione particolare ai meccanismi di coordinamento e di gestione operativa che consentano di raggiungere i risultati sperati. A tale riguardo, il ruolo delle Regioni e deli enti locali sarà decisivo nell’attuazione dei progetti di investimento programmati.

  • Diversi interventi possono essere finanziati sia con i Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE) che col RRF. In considerazione del fatto che per l’attuazione del RRF sono state introdotte procedure semplificate, anche a livello di singolo Stato membro, è presente, secondo lei, un rischio reale di competizione fra questi due strumenti?   

I Fondi Strutturali e di Investimento hanno una programmazione multi annuale di sette anni e la loro gestione si basa su un sistema di governance multi-livello che coinvolge i vari livelli di governo, il settore privato nonché altri partners socio economici.  Il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (RRF), invece, è uno strumento “a gestione diretta, che viene gestito in primis dai governi nazionali. Entrambi devono essere programmati ed attuati in una logica di complementarietà e sinergie tra i vari interventi, soprattutto per gli investimenti che riguardano la transizione verde e quella digitale. Occorre disegnare un’architettura finanziaria integrata al fine di massimizzare l’impatto in termini di crescita e di riduzione dei divari regionali all’interno di ciascun paese.

  • L’RRF presenta criteri di assegnazione delle risorse differenti da quelli propri della politica di coesione (che rimangono basate sul PIL e assicurano maggiori contributi alle aree più svantaggiate e marginali). L’RRF, dovendo rispondere allo shock causato dalla pandemia, rischia viceversa di mobilitare più risorse da destinare alle aree economicamente più sviluppate, in modo da compensare le maggiori perdite subite da queste. Non vi è pertanto un rischio concreto, secondo lei, di un aumento del divario tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni europee, che i fondi strutturali hanno invece l’obiettivo di ridurre?

Le risorse provenienti dal RRF vengono assegnate secondo criteri analoghi a quelli dei Fondi Strutturali dato che hanno la stessa base giuridica (art. 175 del Trattato).  La differenza tra i due è che tali risorse sono destinate direttamente agli Stati e non alle regioni.  In questa logica, gli Stati membri più colpiti dalla pandemia e con livelli di Pil pro capite più bassi hanno ricevuto in proporzione più risorse. L’Italia è il paese maggiormente beneficiario dei fondi del RRF, 191 miliardi di euro ossia il 28% del totale. Per evitare che le aree più svantaggiate del paese siano penalizzate, il 40% della quota RRF dell’Italia andrà alle otto regioni del Mezzogiorno, cioè oltre il loro peso relativo in termini di popolazione.  Inoltre, non bisogna sottovalutare gli effetti indiretti positivi che potrebbero avere investimenti in ricerca e innovazione sulle economie locali del Sud Italia.    

  • La Politica di Coesione paga spesso, specialmente in Italia, una percezione negativa agli occhi di molti cittadini. Tenendo conto, beninteso, che molti aspetti gestionali possono naturalmente essere migliorati, rimane comunque innegabile che i fondi strutturali abbiano certamente contribuito al raggiungimento di obiettivi importanti nel corso degli anni, soprattutto considerando che le misure per la coesione intervengono in Italia per una quota appena pari al 14% degli investimenti pubblici totali. Secondo lei, qual è la chiave perché l’intera Politica di Coesione acquisti maggiore efficienza, in modo da diventare almeno altrettanto attrattiva rispetto alle possibilità offerte dai PNRR e dai nuovi strumenti gestionali introdotti dalla risposta europea alla crisi?

Senza la politica di coesione non vi sarebbe l’Europa attuale. Essa ha consentito di ridurre i divari tra paesi e regioni dell’Europa creando benessere economico attraverso investimenti infrastrutturali e sociali soprattutto nelle aree più svantaggiate. L’efficacia dei Fondi Strutturali dipende da tre fattori chiave: una massa critica di risorse finanziarie (pur facendo leva laddove necessario sul settore privato); un mix di interventi adeguati per affrontare i nodi critici del paese o della regione; una capacità amministrativa ed istituzionale che consenta un efficace ed efficiente uso delle risorse. Pertanto è necessario che vengano attuate certe riforme strutturali, come quella della pubblica amministrazione o della giustizia, per ottimizzare l’impatto degli investimenti e quindi rafforzare il potenziale economico di Paesi e Regioni. In tal senso, il PNRR potrebbe contribuire a superare le difficoltà di assorbimento dei fondi strutturali attraverso gli obiettivi di riforme e di investimenti e ad evitare sovrapposizioni inutili ed una concorrenza dannosa tra loro. Di qui la necessità di creare dei legami organici tra il PNRR e i fondi strutturali per ottenere dei mutui benefici.  

  • Nell’attuale contesto europeo sono presenti differenti strumenti che possono contribuire a migliorare la governance multi-livello di determinate aree. Uno di questi è rappresentato dalle 4 Strategie europee che insistono su aree macro-regionali. Tra queste, la Strategia europea per la regione alpina assume ovviamente una rilevanza particolare per la Valle d’Aosta. Ritiene che la governance di queste Strategie costituisca una buona pratica a livello europeo e che gli strumenti sviluppati in quest’ambito potrebbero essere utilizzati anche per rendere più snello ed efficace l’impiego dei fondi dei PNRR?

Il concetto di macro – regione non è nuovo. Tuttavia, è riemerso con forza vent’anni fa a latere delle discussioni sul futuro della politica di coesione. In sostanza, le strategie macro-regionali hanno tre caratteristiche peculiari: sono uno strumento giuridico di cooperazione intergovernativo avallato dal Consiglio europeo; possono essere supportate dai Fondi Strutturali; sono basate su un sistema di governance transnazionale. Viceversa, hanno anche delle forti limitazioni, note come “i tre ‘no’” (‘no new EU legislation, no new EU institutions, no new EU funds’). In tale contesto, l’esperienza maturata sinora dimostra che ci sono state certe innovazioni nei modi operativi a livello di progettualità, di finanza, di condivisione di buone pratiche che hanno reso l’approccio macro-regionale utile nell’affrontare problemi comuni tra diverse aree geografiche.  La strategia Alpina è senza dubbio un caso di successo poiché è stata creata su una tradizione di cooperazione consolidata tra i paesi e regioni che formano l’area Alpina quale area funzionale. Essa ha saputo interpretare nuovi bisogni e potenziali di sviluppo che potrebbero in futuro dar luogo a nuove iniziative transnazionali sfruttando le economie di scala e di scopo in diversi ambiti, dalle infrastrutture, alle università e alla ricerca, senza dimenticare la cultura. Le connessioni col PNRR sono tutte da esplorare, a cominciare dai progetti paneuropei ispirati ad una logica di beni pubblici europei (lotta al cambiamento climatico, reti energetiche, idrogeno verde, ecc.).

  • Un tema da sempre molto caro alla nostra Regione è il turismo. L’Unione europea sta facendo il possibile per offrire in tutti i suoi territori nuove opportunità per questo settore, unitamente al sostegno per le transizioni digitale ed ecologica, al centro oggi delle diverse agende politiche nazionali. Quale pensa possa essere la leva più funzionale ad uno sviluppo del settore turistico efficiente, moderno e rispettoso dell’ambiente?

Il turismo è un settore chiave per lo sviluppo di molti paesi e regioni d’Europa. In termini di attività, incide rispettivamente per il 10% del Pil europeo e per l’11% dell’occupazione totale europea; inoltre, oltre due milioni di PMI sono attive nel settore turistico. Per queste ragioni esso può diventare un vero volano per il rilancio delle infrastrutture e per lo sviluppo di nuove competenze e progettualità. Infine, il turismo ha anche una valenza umana e sociale, in quanto unisce i territori e tramite i continui scambi salvaguarda valori di umanità e di dignità nel lavoro.

Le regioni alpine, più di altre, hanno dato corpo a forme di turismo sostenibile nel senso pieno del termine, ad esempio attraverso percorsi culturali, pellegrinaggi e proposte nutrizionali, che vengono caratterizzate come ‘capitale territoriale’. Questo patrimonio di esperienze e di idee deve essere valorizzato non attraverso meccanismi di competizione sterili, ma attraverso bandi chiari che consentano l’accesso alle risorse messe a disposizione sia dai Fondi Strutturali che dal PNRR.